Il quadro tracciato dal Consiglio Nazionale della Ricerca (CNR) nella sua Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia conferma, nonostante il miglioramento di alcuni indicatori, il persistere di criticità ben note che di fatto pongono un freno all’innovazione, primo motore di sviluppo economico in un’economia matura. Infatti, sebbene il rapporto tra spesa per R&S e PIL sia cresciuto dall’1% del 2000 all’1,3% del 2015, il nostro Paese rimane ben lontano dai primi posti della classifica, dominata in Europa dalla Germania, con circa il 3%.
Negli ultimi dieci anni la crisi economico-finanziaria ha spinto quasi tutti i paesi europei a diminuire la spesa pubblica in R&S. Ciò ha avuto effetti più pesanti laddove le risorse pubbliche destinate al sostegno delle attività scientifiche e tecnologiche erano già limitate, come in Italia. I dati confermano questa tendenza: la spesa per R&S delle istituzioni pubbliche in relazione al PIL è scesa dal 2000 al 20015 da 0,20% a 0,18%. Anche i fondi ministeriali per gli enti pubblici di ricerca, tra cui lo stesso CNR, si sono ridotti negli ultimi 15 anni, passando da 1.857 mln di euro nel 2002 a 1.483 mln nel 2015.
Cresce invece il contributo nazionale alla letteratura scientifica, a dimostrazione del fatto che i nostri ricercatori, messi nelle condizioni di operare, si distinguono per la qualità delle competenze, per creatività e spirito di iniziativa. Dal 2000 al 2016 l’Italia è passata dal 3,2% al 4% della quota mondiale grazie soprattutto a lavori di elevata qualità, come dimostra l’aumento del numero medio di citazioni per pubblicazione, classifica nella quale il nostro Paese ha raggiunto il Regno Unito.
Tornando agli aspetti negativi, oltre alla riduzione delle risorse pubbliche in termini assoluti, pesa la mancanza di strumenti e finanziamenti basati su progetto attraverso cui indirizzare la ricerca verso settori e tecnologie chiave per la crescita. Come ho già avuto modo di sostenere, la creazione di una governance nazionale della ricerca, che includa rappresentanti sia della ricerca pubblica sia dell’industria privata, principale portavoce delle istanze di competitività del Paese, potrebbe facilitare l’individuazione degli ambiti prioritari in grado di assicurare le massime ricadute della ricerca pubblica sull’industria, utilizzando al meglio le limitate risorse economiche e umane.
La maggior focalizzazione favorirebbe un più stretto collegamento tra industria e università, generando una spirale virtuosa che progressivamente porterebbe a un rilancio dell’innovazione anche nelle tecnologie più avanzate. Tra queste priorità, un ruolo di primo piano condiviso anche a livello europeo spetta senz’altro alle tecnologie energetiche a basso impatto ambientale, per le numerose esternalità positive in termini di innovazione, sviluppo economico e sostenibilità ambientale.