Lo sciopero globale che il 15 marzo scorso ha unito oltre un milione di giovani nel richiedere un’azione più decisa contro il cambiamento climatico rispecchia una più ampia presa di coscienza, da parte dell’opinione pubblica, della gravità dei problemi climatici e ambientali.
I cittadini italiani ed europei sono consapevoli che quanto fatto finora è insufficiente. In un’indagine speciale condotta da Eurobarometro a novembre 2018 oltre il 90% degli intervistati ritiene che dovrebbero essere adottate maggiori misure per promuovere il riciclaggio, l’efficienza energetica e lo sviluppo di un’economia moderna e sostenibile. Tutto ciò avrebbe un notevole impatto positivo, non solo sull’ambiente ma anche sull’economia.
Tuttavia, anche nel campo degli ambientalisti, c’è ancora qualcuno che ritiene che la lotta al cambiamento climatico e all’inquinamento porterà stagnazione (o addirittura recessione) economica, riduzione netta dei posti di lavoro e regressione tecnologica. Niente di più sbagliato. Al contrario, è molto più probabile che ciò accada a chi farà poco o niente per invertire la rotta.
Il passaggio a un sistema economico a basso o nullo impatto climatico-ambientale, se ben governato, offre infatti opportunità uniche di sviluppo economico, crescita dell’occupazione e progresso tecnologico a chi ha la visione per coglierle. E i dati lo confermano.
Limitandosi al caso italiano, secondo i dati elaborati dal Sistema Informativo Excelsior e contenuti nel focus Censis–Confcooperative “Smart&Green: l’economia che genera futuro”, dal 2019 al 2023 circa un quinto dei nuovi posti di lavoro sarà creato dal settore legato alla sostenibilità energetica e ambientale. Già nel 2017 questo settore ha occupato 388.000 unità di lavoro (pari all’1,62% dell’occupazione complessiva) e ha generato un valore di 78 miliardi di euro (pari al 2,4% del valore complessivo dell’economia italiana).
Le aziende che investono in prodotti, servizi, tecnologie e competenze ecosostenibili hanno inoltre performance migliori rispetto alla concorrenza, come ogni anno ci ricorda il rapporto GreenItaly pubblicato da Unioncamere e Symbola. Secondo l’ultima edizione di ottobre 2018, nel 2017 il 34% delle imprese del settore manifatturiero che hanno investito nel green ha riscontrato un aumento dell’export (contro il 27% di quelle che non hanno investito), mentre il 32% ha segnalato un aumento di fatturato (vs il 24%). Non ultimo, le imprese green innovano più delle altre: il 79% di queste ha infatti sviluppato attività di innovazione, contro solo il 43% delle imprese non green.
In effetti, il motore che spinge la transizione a un’economia sostenibile è soprattutto il progresso tecnologico. Le tecnologie più avanzate sono infatti fondamentali per la decarbonizzazione e la sostenibilità ambientale. Si pensi alla trasformazione che sta interessando il settore elettrico: l’integrazione delle tecnologie IT, Big Data, Internet of Things e dell’Intelligenza artificiale consentirà la gestione efficiente di un sistema sempre più complesso, che dovrà far fronte all’aumento della generazione distribuita, dell’autoconsumo e della mobilità elettrica. Un discorso analogo vale per l’economia circolare, dove all’innovazione basata sulle tecnologie digitali si aggiunge la ricerca nel campo delle biotecnologie per il recupero ad alto valore aggiunto di scarti, sottoprodotti e rifiuti.
Per cogliere le opportunità offerte dalla lotta al cambiamento climatico e all’inquinamento sarà però necessario uno sforzo di sistema e una prospettiva di lungo periodo. Occorre innanzitutto una chiara presa di posizione politica che porti all’adozione di obiettivi ambiziosi, accompagnata dalle misure per raggiungerli. Ciò significa, ad esempio, adeguare la normativa per consentire un pieno sviluppo dei settori green, aprendo all’autoconsumo collettivo di energia o introducendo misure per promuovere l’utilizzo di materie prime seconde. Lo scopo non è fermare il progresso, ma riorientarlo verso un futuro più sostenibile.
Questo articolo è stato pubblicato su Nuova Energia, numero 2-2019.