Il 15 marzo scorso oltre un milione di giovani in 125 città in tutto il globo ha partecipato a uno sciopero di massa per protestare contro l’impegno insufficiente del mondo politico, finanziario e industriale nel contrastare il cambiamento climatico. “State rubando il futuro ai vostri figli!” è l’accusa lanciata dai manifestanti alla classe dirigente, o meglio, a una generazione adulta responsabile dell’attuale disequilibrio climatico e che ora, pur consapevole della tempesta che incombe all’orizzonte, sta facendo poco o nulla per invertire la rotta. Ad ispirare lo sciopero è stato l’esempio di Greta Thunberg, giovanissima attivista svedese già nota agli addetti ai lavori per il suo discorso di fronte all’assemblea plenaria della COP24 lo scorso dicembre.
Gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti. Lo confermano i dati del rapporto Statement on the state of the global climate in 2018, recentemente pubblicato dalla World Meteorological Organization: le temperature medie sono aumentate di 1°C rispetto ai livelli preindustriali (con gli ultimi 4 anni che sono stati i più caldi di sempre), mentre il livello dei mari si è innalzato di quasi 4 millimetri nel solo 2018. Inoltre, eventi estremi come uragani, inondazioni e siccità sono sempre più frequenti e colpiscono milioni di persone in tutto il mondo.
È comprensibile quindi che il clima e le questioni ambientali siano ormai in cima alla classifica dei rischi percepiti da larghi strati della popolazione mondiale. In un’indagine condotta da PEW Research Center pubblicata a febbraio 2019, il 67% degli intervistati include il cambiamento climatico tra le principali minacce per il proprio paese. Si tratta del valore percentuale più alto e precede l’ISIS (63%) e i cyberattacchi (61%).
Anche in Italia i cittadini si sono accorti dei pericoli legati all’alterazione dell’equilibrio climatico. Un’indagine dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di dicembre 2018 rivela che il cambiamento climatico rappresenta per gli italiani la minaccia più rilevante a livello globale, mentre in un sondaggio condotto a novembre 2018 dall’istituto di ricerca SWG il 90% del campione intervistato ritiene sia urgente intervenire con misure straordinarie per affrontarne cause e conseguenze.
Perché questa presa di coscienza della società civile non trova risposta in azioni coerenti da parte dei governi? Una delle ragioni potrebbe essere la difficoltà di attuare il necessario cambio di paradigma: aver compreso l’emergenza è cosa ben diversa da una efficace e tempestiva messa in atto delle soluzioni.
Per evitare le conseguenze peggiori dell’aumento di temperatura la politica dovrà compiere scelte coraggiose, talvolta impopolari o contrarie a interessi consolidati. Quello che i giovani scesi in piazza il 15 marzo scorso chiedono ai governi è proprio di dimostrare coraggio e determinazione, adottando misure con un orizzonte temporale che superi la logica a breve termine delle promesse da campagna elettorale e inserendo l’ambiente tra le priorità trasversali in tutte le politiche pubbliche.
Passare dalla presa di coscienza all’azione è anche quello che i ragazzi che manifestano contro il cambiamento climatico si aspettano da tutti noi. Non possiamo demandare in toto ai decisori pubblici la responsabilità di salvarci dall’inquinamento e dalle conseguenze del riscaldamento globale: nelle nostre scelte quotidiane dobbiamo cominciare a dimostrare maggiormente di aver compreso che è nostro dovere lasciare alle generazioni future un Pianeta in salute, consumando in modo più intelligente e adottando stili di vita più sostenibili. Citando Greta Thunberg, non si è mai troppo giovani – ma neanche troppo adulti – per fare la differenza.
Questo articolo è stato pubblicato su QualEnergia, numero 2-2019.