Fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico neutro entro il 2050. È l’obiettivo del Green Deal europeo lanciato da Ursula von der Leyen nel suo primo discorso, insieme all’annuncio di alzare il target di riduzione delle emissioni di CO2 dal 40 per cento stabilito dalla Commissione Juncker al 50 per cento (e forse al 55 per cento) al 2030. Da subito, la neo presidente della Commissione ha posto l’ambiente e il cambiamento climatico come temi trasversali ad ogni altra scelta politica.
Come il presidente americano Roosevelt lanciò negli anni ‘30 del secolo scorso il New Deal per uscire con rapidità dalla Grande Depressione, così oggi il nuovo patto green è di straordinaria urgenza per scongiurare la bancarotta climatica. E straordinarie dovranno essere anche le misure e le risorse da mettere in campo per far sì che il Pianeta non vada in default. Secondo Eurelectric, per raggiungere la carbon neutrality al 2050 gli investimenti in energia pulita e stoccaggio dovranno aumentare di 100 miliardi di euro all’anno per i prossimi 30 anni.
Il Sustainable Europe Investment Plan preannunciato dalla Commissione promette di attivare nei prossimi 10 anni 1.000 miliardi di investimenti in sviluppo sostenibile. Ma i buoni propositi potrebbero non bastare, perché nonostante non sia mai stata così alta l’enfasi sulla transizione low carbon servono misure celeri che trasformino gli annunci in azioni. Un banco di prova per testare la coerenza della Commissione è la legge climatica europea, da presentare entro i prossimi 3 mesi.
Il successo della decarbonizzazione dipenderà in gran parte dai Governi: anche il più ambizioso dei target climatici è vano se non trova corrispondenza in norme adeguate. Ad esempio, il Piano Clima da 100 miliardi al 2030 annunciato da Angela Merkel al Climate Action Summit dell’ONU a New York contrasta con l’introduzione, sempre in Germania, della “regola dei 1.000 metri” di distanza dalle aree residenziali per i parchi eolici (per i nuovi e repowering) che potrebbe impedire il raggiungimento dell’obiettivo del 65 per cento di elettricità rinnovabile al 2030.
E l’Italia? Allo stesso vertice ONU il premier Giuseppe Conte ha annunciato che la carbon neutrality per noi sarà al 2050. Una promessa che stride rispetto al Decreto Clima che, sebbene contenga diverse misure positive, non introduce radicali provvedimenti né stanzia risorse sufficienti a contrastare il cambiamento climatico. Di risorse ne servirebbero molte di più. L’Italia non è infatti sulla buona strada per lo sviluppo sostenibile. Il Rapporto ASviS 2019 delinea un quadro scoraggiante: siamo lontani dagli obiettivi di Agenda 2030 e molto in ritardo rispetto agli impegni presi nel 2015 con l’Accordo di Parigi.
Inciampiamo nell’incapacità di avviare gli strumenti necessari in tempi coerenti con l’emergenza climatica, come nel caso del Piano Nazionale Integrato Energia Clima che prevede il raddoppio della capacità rinnovabile al 2030, un’ambizione che speriamo cresca entro il 2021 dietro la spinta del Green Deal. Affinché non resti sulla carta servono misure attuative. Non possiamo permetterci di attendere anni i decreti per le rinnovabili, come accaduto per il DM FER 1.
A farsi aspettare da tempo è anche l’adeguamento del quadro normativo per l’autoconsumo collettivo di energia e le comunità energetiche all’ultima Direttiva Rinnovabili, nonostante il contributo della generazione distribuita e dei prosumer sia determinante per i target dello stesso PNIEC.
L’industria è pronta ma l’inerzia legislativa rallenta molti settori chiave e non fa eccezione l’economia circolare, troppo tempo tenuta in standby sull’End of Waste. La strada è segnata, acceleriamo. Il Governo italiano concretizzi al più presto le promesse fatte su clima e ambiente, trovando il coraggio di stanziare le risorse necessarie per mantenerle. Non è più il tempo delle parole, tra il dire e il fare ci giochiamo il Pianeta!
Questo articolo è stato pubblicato su Nuova Energia, numero 5-2019.