Quando nel 1995 ho fondato la mia impresa credevo fermamente nella necessità di coniugare lo sviluppo industriale con un modello di crescita rispettoso dei limiti del Pianeta.
25 anni fa non eravamo in tanti a guardare al cambiamento climatico vedendo una minaccia grande e concreta per il futuro dell’umanità. Insieme alla sfida ho intuito l’opportunità di poter “diventare grandi” scommettendo sulla sostenibilità. Quella scommessa si chiama Asja, un’azienda italiana delle rinnovabili, dell’efficienza e dell’economia circolare che oggi soddisfa il consumo di energia di oltre 900.000 persone e che da quando è nata ha evitato l’immissione in atmosfera di oltre 15 milioni di tonnellate di CO2.
Dopo un quarto di secolo facciamo i conti con la necessità e l’urgenza di fronteggiare l’emergenza climatica.
Il mondo si è accorto del cambiamento climatico
Il più importante forum economico mondiale, che si è tenuto recentemente a Davos, ha riconosciuto che il cambiamento climatico è il principale fattore di rischio per la stabilità economica e finanziaria. A livello comunitario assistiamo ai primi passi del Green Deal, l’ambizioso piano che vuole fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico neutro entro il 2050. Anche l’opinione pubblica è ormai consapevole dell’importanza di agire per ridurre le emissioni nocive per il clima e l’ambiente, complice il moltiplicarsi in frequenza e intensità di eventi climatici estremi e la necessità di contrastare l’inquinamento dell’aria. Se ne sono accorte le nuove generazioni, scese in piazza per rivendicare il diritto ad un futuro più sostenibile e denunciare l’ingiustizia di dover pagare il debito ecologico che hanno ereditato.
La stagione della consapevolezza deve però lasciare (e in fretta) spazio ad un’azione condivisa, tempestiva ed efficace per risolvere la crisi climatica. Resta pochissimo tempo per fare un’inversione di rotta epocale in grado non solo di porre economia, società e industria sui binari della sostenibilità ma anche di creare valore, benessere ed equità. Sono convinto sia possibile riconvertire l’attuale paradigma di sviluppo, correggendone le distorsioni che hanno causato il riscaldamento globale e portato ad un modello insostenibile di utilizzo delle risorse naturali basato sul falso assunto della loro illimitata disponibilità. Per farlo serve una netta e repentina virata verso l’economia circolare e lo sviluppo sostenibile, indirizzando politiche e risorse per promuovere la green economy. La missione è certamente complessa ma non impossibile e portarla a compimento creerebbe in Italia benefici multipli, in termini di contrasto al cambiamento climatico, miglioramento della qualità dell’aria, slancio alla crescita e all’occupazione e riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali.
Un manifesto per passare all’azione
Trasformare l’emergenza climatica in un’opportunità di sviluppo richiede il coinvolgimento e l’impegno proattivo di tutte le energie del sistema. Ecco perché ho firmato il Manifesto di Assisi, un’alleanza di intenti e una dichiarazione di impegni per un’economia e una società più a misura d’uomo che ha ricevuto il supporto del mondo istituzionale, accademico, culturale ed industriale italiano. Faccio parte degli oltre 2.400 sottoscrittori dell’iniziativa promossa da Ermete Realacci Presidente Fondazione Symbola, Vincenzo Boccia Presidente Confindustria, Ettore Prandini Presidente Coldiretti, Francesco Starace AD Gruppo Enel, Mauro Gambetti Padre Custode Del Sacro Convento Di Assisi, Enzo Fortunato Direttore Rivista San Francesco e Catia Bastioli AD Novamont, e di recente sottoscritta anche dal Premier Giuseppe Conte.
Il Manifesto propone di valorizzare le eccellenze che distinguono l’Italia nel mondo, coniugando innovazione sostenibile e tradizione del Made in Italy per rilanciare la competitività delle imprese italiane, accrescere il valore del nostro sistema Paese e promuovere un modello di sviluppo che non lasci indietro nessuno. Di punti di forza ne abbiamo, come emerge dal profilo dei talenti italiani fotografato da “L’Italia in 10 selfie 2020”, lo studio condotto dalla Fondazione Symbola in collaborazione con Unioncamere e Assocamerestero. Industria, servizi, artigianato, agricoltura, ricerca, design: dal report emerge una dinamica trasversale ai diversi settori dell’economia. Gli sforzi investiti nell’innovazione sostenibile ripagano. Le imprese italiane amiche dell’ambiente sono quelle che innovano, crescono, esportano di più e creano più occupazione rispetto ai concorrenti rimasti alla brown economy.
Non sempre però queste eccellenze industriali trovano nella politica una buona alleata, come nel caso della filiera industriale della circolarità. Siamo i primi in Europa in quanto a percentuale di riciclo dei rifiuti, eppure, tra eccessiva burocrazia, ritardi legislativi, gap normativi e assenza di una strategia nazionale sui rifiuti, la politica non sembra aver ancora adottato la visione industriale che serve per declinare l’economia circolare sul territorio.