Tra marzo e aprile 2020 la quasi totalità della popolazione mondiale è stata soggetta a misure di contenimento e contrasto alla diffusione del SARS-CoV-2. L’impatto sull’economia globale delle diverse modalità di lockdown imposte è forte: l’ultimo outlook dell’IMF (aprile) prevede una contrazione del PIL nel 2020 del -3%, rispetto alle prime previsioni (gennaio) di una crescita del +3,3%.
Le limitazioni alla mobilità e alle attività produttive e commerciali hanno avuto un effetto depressivo sulla domanda globale di energia primaria, che nel primo trimestre del 2020 ha segnato una riduzione del -3,8% rispetto ai primi tre mesi dell’anno precedente. Secondo le previsioni dell’IEA, la riduzione annuale sarà del -6%, equivalente alla somma della domanda di energia nel 2019 di Italia, Germania, Francia e UK. Si tratta del declino più significativo da 70 anni a questa parte, pari a oltre 7 volte l’impatto della crisi finanziaria del 2008. In Italia, l’ENEA ha stimato una riduzione della domanda del -7% nel primo trimestre 2020 e del -20% nel secondo trimestre.
Tutte le fonti di energia registreranno un calo nel 2020, tranne le rinnovabili. La richiesta di petrolio segnerà la riduzione più significativa, -9% nel 2020, corrispondente a una riduzione media di 9 milioni di barili al giorno. Ben noto è stato l’effetto sul prezzo del barile, che sui futures WTI è arrivato a prezzi negativi.
Una riduzione simile interesserà nel 2020 la domanda di carbone (-8%), gas naturale (-5%) ed energia nucleare (-3%). L’unica fonte di energia primaria a segnare un lieve aumento sarà quella prodotta da fonti rinnovabili (+1%), sia per effetto dei progetti in pipeline la cui entrata in esercizio è prevista per l’anno in corso, sia per la priorità di dispacciamento riservata all’energia elettrica rinnovabile.
Il crollo della domanda di energia dovrebbe portare, secondo l’IEA, ad una riduzione senza precedenti delle emissioni di CO2: -8% nel 2020 rispetto al 2019. Tale riduzione di CO2 in realtà è quella che, secondo l’ultimo Emission Gap Report dell’ONU, servirebbe ogni anno dal 2020 al 2030 per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura al 2100 a +1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali.
Per quanto sopra, lo sviluppo dell’economia sembrerebbe non conciliabile con la riduzione della CO2. In realtà non è così, e a darcene conferma è un recente studio dell’IRENA secondo cui il percorso di transizione energetica compatibile con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi porterebbe ad un valore aggiunto di 100.000 miliardi di dollari a livello globale entro il 2050, con un ritorno sull’investimento dai 3 agli 8 dollari per ogni dollaro investito. Questi investimenti farebbero inoltre quadruplicare i posti di lavoro nel settore, dagli attuali 11 milioni a oltre 42 milioni.
I benefici economici a livello nazionale sarebbero parimenti significativi. Uno studio di Confindustria Energia pubblicato a marzo 2020 (che rappresenta un riferimento valido pur non tenendo in considerazione gli effetti della pandemia), ha stimato che per raggiungere gli obiettivi al 2030 del PNIEC saranno necessari 110 miliardi di euro di investimenti nelle infrastrutture energetiche (reti, impianti di produzione, accumuli ecc.), che genereranno un valore aggiunto di 350 miliardi di euro e 135.000 posti di lavoro.
L’Italia ha tutto l’interesse a costruire un sistema energetico decarbonizzato, digitalizzato e resiliente. Gli operatori di settore e le associazioni di categoria sono pronte a fare la loro parte in questo processo, ma avranno bisogno dell’aiuto dello Stato. Non tanto nella forma di incentivi, quanto più nella garanzia di un quadro regolatorio stabile e favorevole agli investimenti, di una semplificazione burocratica (specialmente nelle procedure di permitting) e di una Pubblica Amministrazione più efficiente, in grado di aumentare la redditività degli investimenti.
Questo articolo è stato pubblicato su Nuova Energia, numero 2-2020.