Il conflitto in Ucraina ha posto con urgenza la necessità di trovare fonti di energia per ridurre la dipendenza dall’estero. Soprattutto per il gas. Accade però che in Italia ci siano circa 50 impianti in via di autorizzazione o di costruzione per la produzione di biometano da rifiuti: se entrassero in funzione potrebbero produrre centinaia di milioni di metri cubi di gas, per di più pulito. Però tutto è fermo perchè sei mesi fa, il governo ha annunciato il cambio delle regole del gioco attraverso la legge di recepimento della direttiva Red2 (senza peraltro mai declinarle in un testo di decreto attuativo). I gestori degli impianti da mesi non hanno più alcuna visibilità su come si formerà la tariffa di vendita del biometano dopo il 31 dicembre 2022, per cui hanno dovuto sospendere ogni attività e con loro le banche che avrebbero finanziato i business plan per investimenti complessivi superiori al miliardo di euro. Beffa nella beffa, poi, lo stop all’iter autorizzativo che può arrivare fino a 7 anni, rischia di vanificare i fondi stanziati nel Pnrr, 1,9 miliardi destinati ai comuni o alle autorità d’ambito che attraverso forme di partenariato pubblico-privato contribuiscano alla realizzazione di questi impianti.
Lo sviluppo di sistemi che producono metano attraverso la decomposizione di materiali organici è stato spinto da un decreto del 2018 che introduceva un sistema di incentivazione fino a fine 2022, con l’obiettivo di sostenere una produzione fino a un miliardo di metri cubi di gas. Il sistema -tuttora in essere per gli impianti che entrano in esercizio entro il 2022- prevede che il gestore venda il biometano sul mercato e che riceva dal Gse un certificato di immissione al consumo, il cui valore è proporzionale alle quantità di metri cubi di biometano prodotto. Il vantaggio di questo meccanismo è che protegge il gestore dalle impennate del costo dell’energia, visto che si tratta di impianti energivori, perchè può recuperare il costo di produzione vendendo il biometano sul mercato.
Le lungaggini dei tempi autorizzativi hanno svuotato il senso del decreto del 2018: a fine 2021 erano entrati in funzione impianti che producono circa il 13% del target di oltre un miliardo (siamo a circa 150 milioni di metri cubi prodotti). Tanto che al mercato era stato lasciato intendere che ci sarebbe stata una proroga fino al giugno 2026. Senonchè nell’autunno 2021, con la legge di recepimento della direttiva Red2, è stato annunciato un nuovo metodo di incentivazione da declinare in un decreto ministeriale che avrebbe dovuto coordinare la norma precedente con quella nuova. Un decreto che, però, ad oggi ancora non ha visto luce. Ci sono stati, però, rumors sulla base dei quali è stato impostato un fitto negoziato tra associazioni di categoria, in particolare Elettricità Futura, e il ministero per la Transizione ecologica. E’ emerso, così, che l’idea era quella di introdurre un contributo di incentivazione fisso per i gestori, i quali però avrebbero dovuto vendere il biometano al Gse ricevendo in cambio un prezzo equivalente di megawattora di 40 euro, poi salito a 60 euro dopo i negoziati. E un contributo in conto capitale pari al 20%, poi forse elevato al 40 per cento. Correttivi comunque giudicati insufficienti per gli impianti che hanno già ottenuto una Via o realizzati in partnership con il pubblico, perchè passati attraverso gare basate su parametri di business plan che venivano stravolti. Per questi viene chiesta una proroga tout court del decreto del 2018. Per gli altri, invece, un nuovo regime potrebbe essere accettato ma solo a patto di un incentivo indicizzato al prezzo di mercato del metano, sulla scorta del modello di alcuni paesi europei.
Tutto questo, però, veniva discusso prima della guerra in Ucraina. Con le nuove regole oggi un gestore si troverebbe nella paradossale situazione di comprare gas o energia elettrica a prezzi ben superiori a 100 euro a megawattora e a dover vendere il biometano a 60 euro. Dopo l’inizio del conflitto dal Mite non è arrivata più alcuna indicazione. “E’ urgente prorogare le attuali regole sul biometano per salvare i progetti già in sviluppo e per sbloccare i nuovi investimenti”, dice il presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, il quale è presidente anche di Asja, che sta realizzando 4 impianti di biometano in partenariato con autorità d’ambito in Sicilia. Forse solo uno di questi entrerà in funzione prima della fine dell’anno. Ma in questo mercato operano anche Snam, A2a e Iren.
I fondi del Pnrr stanziati per il biometano da rifiuti sono destinati solo a comuni e autorità d’ambito che abbiano affidato con gara la realizzazione a un privato. Essi conferiscono i rifiuti pagando una determinata tariffa, che possono ridurre utilizzando i fondi del Pnrr. Ma questi finanziamenti hanno una data di scadenza (2026): se si continua di questo passo saranno in pochi a potervi accedere. Sullo sfondo c’è anche l’interlocuzione con Bruxelles che, forse, dopo la guerra in Ucraina non avrebbe nulla in contrario alla proroga degli incentivi previsto dal decreto del 2018.
Questo articolo, a firma di Laura Serafini, è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore del 20 aprile 2022.