di Agostino Re Rebaudengo, Presidente Asja Società Benefit
Il 2023 è stato di gran lunga l’anno con le temperature più alte mai registrate sul nostro Pianeta, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) delle Nazioni Unite.
Il 2024, dati Copernicus, è sulla strada per essere l’anno più caldo mai registrato, superando il record dell’aumento della temperatura avvenuto l’anno scorso.
Mentre scrivo questo articolo, è in corso la ventinovesima Conference of the Parties (COP) a Baku, in Azerbaijan. La COP 29 si è aperta con la conferma della WMO: la temperatura media globale nel periodo gennaio-settembre 2024 è aumentata di +1,54 °C, superando il tetto di +1,5 gradi, un limite ritenuto invalicabile.
Già lo scorso marzo, Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha lanciato l’ennesimo allarme rosso, e cioè: il Pianeta è sull’orlo del baratro. Le emissioni generate dall’utilizzo dei combustibili fossili stanno creando un caos climatico fuori scala, il cambiamento climatico sta accelerando.
Il cambiamento climatico, pericolosamente, corre. Mentre si arresta l’impegno dei politici di fermarlo. Complice la vittoria alle elezioni US di Trump, a COP 29 sono assenti il Presidente uscente degli Stati Uniti Biden, la Presidente della Commissione europea Von der Leyen, il cancelliere tedesco Scholz, Il Presidente francese Macron, il Premier olandese Schoof, il presidente del Brasile (Paese che ospiterà la prossima COP) Lula.
L’assenza più clamorosa nell’agenda di COP 29 è ciò che ha reso “storica” la COP 28 di Dubai.
Nell’Accordo di Dubai, per la prima volta, è stato messo nero su bianco l’impegno per la fuoriuscita dalle fonti fossili, ed è stato specificato che è nei prossimi dieci anni che bisogna accelerare la transizione energetica. E per farlo, è necessario triplicare la capacità installata di energie rinnovabili al 2030, un impegno sottoscritto da oltre 100 Paesi, tra cui l’Italia. Un impegno ribadito, appena lo scorso aprile, anche dai Paesi del G7, tra cui l’Italia.
Almeno, l’Italia a COP 29 è andata. La posizione del nostro Paese è: non c’è un’unica alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo utilizzare tutte le energie a nostra disposizione, non solo le rinnovabili, anche la fusione nucleare, no alle ideologie, serve pragmatismo.
Ad essere pragmatici, è davvero difficile considerare la fusione nucleare tra le tecnologie disponibili, ed è ancora più critico immaginare che la fusione nucleare possa dare un contributo per il raggiungimento dei target 2030 clima – energia. L’orizzonte temporale è incompatibile. Di recente, è stato annunciato l’ennesimo rinvio di ITER: l’avvio del reattore sperimentale a fusione nucleare che dovrebbe essere realizzato in Francia, un progetto di cui l’Italia è partner, risulta previsto nel 2039, quindi, ci vogliono (salvo ulteriori ritardi) almeno 15 anni prima che il reattore sperimentale diventi operativo.
Il fattore tempo (tralascio in questa sede l’altro fattore determinante, i costi), indica, inequivocabilmente, che le uniche tecnologie disponibili (già oggi competitive) in grado di contribuire agli obiettivi 2030 sono le energie rinnovabili. Eppure, il nuovo quadro normativo in Italia ne ha, di fatto, limitato significativamente lo sviluppo.
Per le generazioni a venire sarà davvero impossibile giustificare questa scelta politica, a loro sembrerà assurdo aver ostacolato queste tecnologie nell’attesa (tanto lunga quanto indeterminata) che ne arrivino altre. Ma non solo “Ai posteri l’ardua sentenza”. Già oggi, non si comprende come sia possibile che il nostro Paese stia fermando le rinnovabili, e con esse, investimenti e progetti (già autorizzati) di moltissime imprese.
Questo articolo è stato pubblicato su QualEnergia.