Le settimane che verranno saranno determinanti per evitare che l’attuale frenata dell’economia italiana si trasformi in una recessione senza precedenti. Se da un lato non è possibile prevedere l’evoluzione del Coronavirus, dall’altro vi è la certezza che solo una decisa ripresa dell’economia nel secondo semestre 2020 potrà assicurare che il tonfo del PIL si limiti all’8% su base annua. Le conseguenze economiche della pandemia hanno reso ancora più evidenti alcune carenze strutturali e ataviche del sistema-Italia, ed estremamente più urgente il loro superamento. In cima alla lista campeggiano l’eccesso di burocrazia, le inefficienze della Pubblica Amministrazione ed una visione della politica ancora troppo poco orientata a promuovere lo sviluppo industriale.
Alcune delle misure per favorire la ripresa economica nell’immediato sono a costo zero ed elevato valore aggiunto. Ho già spiegato su questo Blog che attraverso la semplificazione della burocrazia e l’aumento dell’efficienza della Pubblica Amministrazione si potrebbero liberare circa 150 miliardi di PIL.
AAA, semplificazioni cercasi
Di recente Confesercenti ha stimato che sono 90mila le imprese che rischiamo di perdere già in autunno, sottolineando l’urgenza di un nuovo ed efficace accordo tra il Governo e le parti sociali per riformare le materie del fisco e dell’occupazione. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) ad aprile ha previsto una diminuzione di circa un milione di occupati nel 2020 rispetto all’anno precedente.
Provvedimenti come gli aiuti a pioggia e lo stop ai licenziamenti non sono sostenibili a lungo per le casse dello Stato e non pongono nemmeno le basi per una ripresa dell’economia stabile e a lungo termine. La classe politica dovrebbe creare un ambiente favorevole ad attrarre investimenti, mettendo gli imprenditori in condizione di offrire lavoro. A che serve obbligare a non licenziare se si è sull’orlo del fallimento? Da un lato piovono sussidi, dall’altro si lascia annegare l’iniziativa imprenditoriale in un mare magnum di ostacoli burocratici.
Nella classifica per facilità di fare impresa stilata dalla Banca Mondiale, il peso della burocrazia e il malfunzionamento della PA “affondano” l’Italia al 14esimo posto tra i 19 Paesi dell’Area Euro. Un risultato che non sorprende data la farraginosità dei procedimenti autorizzativi: ad esempio per aprire un bar ci vogliono 72 autorizzazioni , ad un parrucchiere ne vengono richieste 65 e sono 86 per un autoriparatore.
L’Ufficio studi della CGIA di Mestre ha valutato che il danno economico subito dai contribuenti a causa di sprechi e inefficienze della Pubblica Amministrazione ammonta a 200 miliardi di euro all’anno, quasi il doppio dell’evasione fiscale stimata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in 110 miliardi di euro all’anno. Sebbene la stessa CGIA specifichi che la comparazione non ha rigore statistico, resta la necessità di una riflessione di carattere politico, sia sull’entità di simili cifre – intollerabili già prese singolarmente – sia sul significato che emerge dal porle a paragone, un rapporto dare-avere tra cittadini e Stato nettamente a sfavore dei primi.
Il più grande aiuto alle imprese è tagliare la burocrazia
Non stupisce quindi che tra i requisiti principali richiesti all’Italia dall’Europa per accedere alle risorse del Recovery Fund vi sono la semplificazione delle procedure burocratiche, un drastico taglio a inefficienze e sprechi della macchina pubblica e una più generale innovazione del funzionamento del sistema-Paese.
A sottolineare l’urgenza di modernizzazione è adesso l’Unione europea ma l’arretratezza italiana sul fronte delle riforme strutturali è sotto gli occhi di tutti, tanto quanto lo è stato nelle ultime settimane l’immobilismo del nostro apparato politico.
Mentre si accumulano i ritardi nell’emanazione dei provvedimenti attuativi – se ne attendono oltre 350 per dare attuazione alle leggi emanate dal Governo Conte 2 – mancano all’appello le necessarie riforme strutturali in vista del Recovery Plan, riforme che necessitano della massima concertazione con i rappresentanti dell’industria e le parti sociali. E’ irrimandabile che l’esecutivo adotti una nuova visione priva di connotati anti-industriali e si apra all’ascolto delle istanze del mondo produttivo, come ha di recente sottolineato anche il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi.
Una delle priorità del mio mandato in qualità di Presidente di Elettricità Futura, la principale Associazione delle imprese della filiera elettrica italiana aderente a Confindustria, è la semplificazione dei procedimenti autorizzativi e della “mala” burocrazia che frenano le rinnovabili e l’efficienza energetica, due settori in grado di dare un notevole contributo alla ripresa dell’economia. In audizione alle Commissioni del Senato 1a Affari costituzionali e 8a Lavori pubblici ho presentato alcune proposte per rendere più efficace il Decreto Semplificazioni, tra cui: in materia di repowering eolico prevedere la possibilità di cambiare gli aerogeneratori mettendone meno ma più potenti e performanti; per il fotovoltaico risolvere il problema della realizzazione di impianti sulle ex cave classificate come terreni agricoli o a terra su aree non più agricole perché abbandonate.
Anche su questi temi ragioneremo venerdì 25 settembre all’Assemblea pubblica di Elettricità Futura che si svolgerà a Milano, nella giornata di apertura de Il Verde e il Blu Festival.