Nel riciclo l’Italia può contare su eccellenze riconosciute a livello mondiale ma lo stallo normativo sulle autorizzazioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (il cosiddetto End of Waste) può portare alla paralisi del settore. Allo stesso tempo, nel nostro Paese esiste una carenza di impianti per il trattamento e recupero dei rifiuti, in particolare della frazione organica, che va colmato per evitare costi economici e ambientali insostenibili per il sistema. Questi sono alcuni tra i messaggi contenuti nella nona edizione del rapporto L’Italia del Riciclo, realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da FISE – Unicircular.
Riciclo: l’ombra dello stallo sull’End of Waste
Con la pubblicazione del Pacchetto Economia Circolare, il 4 luglio 2018 l’Unione europea ha modificato la disciplina sulla gestione dei rifiuti con l’obiettivo di promuovere la conversione delle economie degli Stati membri ai principi di circolarità. Tra i traguardi inclusi nelle quattro direttive che compongono il Pacchetto vi è l’obbligo di riciclo per tutti i rifiuti di imballaggio di almeno il 65% entro il 2025 e del 70% entro il 2030. Nel 2017 l’Italia ha riciclato 8,8 milioni di tonnellate di imballaggi tra acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro, pari al 67,5% dell’immesso in consumo, superando quindi il target al 2025.
A gettare un’ombra su un panorama tutto sommato luminoso è giunta la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 sull’End of Waste, termine che indica un processo di recupero eseguito su un rifiuto al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto. Tale sentenza ha stabilito che le Regioni non possono più autorizzare la cessazione della qualifica di rifiuto in quanto il tema è di competenza del Ministero dell’Ambiente, il quale dovrebbe provvedere con decreti ad hoc (qui un approfondimento sulla questione). La sentenza ha creato incertezza nel settore, bloccando le attività e causando una perdita di fiducia ed investimenti. Occorre quindi superare al più presto questo ostacolo attraverso un intervento normativo che stabilisca criteri uniformi sull’End of Waste applicabili a livello nazionale, lasciando poi alle Regioni la facoltà di rilasciare le autorizzazioni caso per caso sulle fattispecie non normate.
Trattamento e recupero dei rifiuti organici: un deficit impiantistico latente
Secondo i dati ISPRA, nel 2017 il 40,3% (6,6 milioni di tonnellate) del totale di raccolta differenziata è costituita dalla frazione organica (umido + verde), percentuale in crescita dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Il rapporto L’Italia del Riciclo indica che il potenziale di raccolta dei rifiuti organici a regime è pari a 9,3 milioni di tonnellate. Ciò significa che il potenziamento della raccolta differenziata dell’organico porterà ad un aumento del 22% della frazione raccolta nel Nord, del 37% nel Centro e del 94% nel Sud.
Questi numeri ci dicono che solo nelle regioni del Nord la capacità di trattamento di rifiuto organico ad oggi autorizzata è adeguata ai futuri quantitativi, mentre le zone del Centro e Sud Italia sono caratterizzate da un deficit impiantistico latente. L’attuale autosufficienza di queste macro-aree è infatti una conseguenza della bassa diffusione della raccolta differenziata ed è destinata a scomparire a fronte del futuro aumento della frazione raccolta.
Inoltre, gran parte della capacità di trattamento esistente (il 55,2%) è costituita da impianti di compostaggio aerobico che risultano svantaggiosi su tutti gli indicatori energetici e ambientali se confrontati con gli impianti che integrano la digestione anaerobica con il compostaggio per la produzione di biometano e fertilizzante.
Lo sviluppo uniforme in tutto il territorio nazionale di una adeguata capacità di trattamento e recupero dei rifiuti organici che utilizzi le migliori tecnologie disponibili è quindi indispensabile per valorizzare adeguatamente la raccolta differenziata che, è bene ricordare, costituisce uno strumento e non il fine ultimo di una corretta gestione dei rifiuti.