La transizione a un sistema economico e sociale sostenibile non può realizzarsi senza la decarbonizzazione dei trasporti. Circa un quarto delle emissioni di gas serra in Europa è infatti riconducibile al trasporto su strada (fonte EEA). Il settore è inoltre tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico, causando quasi il 40% delle emissioni di ossidi di azoto e poco meno del 10% di quelle di particolato (fonte EEA).
Il mercato ha già recepito l’urgenza di passare ad autovetture con alimentazione ecologica (full-electric, ibride e ibride plug-in). In Europa, il 44% delle auto immatricolate nel 2022 appartiene a questa categoria, rispetto al 6% del 2018 (fonte ACEA). Tuttavia, il parco auto circolante è ancora largamente “fossile”: solo il 3,8% del totale è infatti provvisto di alimentazione ibrida o elettrica (fonte ACEA).
La recente approvazione del regolamento che vieta la vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035 darà ulteriore spinta all’auto green. Nel frattempo, i grandi player del settore stanno convertendo le loro linee di produzione. Secondo gli analisti di Bloomberg, crescenti economie di scala porteranno il prezzo delle auto elettriche al raggiungimento del punto di pareggio nel 2026, per poi proseguire la discesa negli anni successivi.
Anche l’impronta carbonica “dalla culla alla tomba” di un’auto elettrica, già oggi largamente inferiore rispetto ai veicoli endotermici, si ridurrà per effetto di due auspicabili sviluppi. Il primo riguarda come viene prodotta l’elettricità. La crescita delle rinnovabili elettriche, trainata anche dagli obiettivi europei al 2030, diminuirà ulteriormente le emissioni di CO2 per kWh prelevato dalla rete. Ad esempio, il Piano di sviluppo del settore elettrico al 2030 prevede che entro fine decade il nostro Paese potrà produrre l’84% dell’elettricità da sole fonti rinnovabili.
Il secondo riguarda i materiali e il luogo di produzione. Infatti, l’estrazione delle materie prime e il mix energetico del paese di costruzione incidono molto sulla impronta carbonica di una e-car. Secondo l’ACI, un’auto realizzata in Cina – che detiene il 60% della produzione mondiale di veicoli elettrici – ha un’impronta carbonica maggiore di oltre un terzo rispetto a quella di un analogo modello prodotto in Europa. La sfida è quindi anche legata alle scelte di politica industriale, soprattutto a livello comunitario.
In questa direzione si muove il Net-Zero Industry Act (NZIA) presentato dalla Commissione europea lo scorso marzo. La proposta di regolamento include misure per potenziare la produzione comunitaria di diverse tecnologie considerate strategiche, tra cui le batterie, con l’obiettivo di raggiungere il 40% di approvvigionamento da filiera europea al 2030. La Commissione ha inoltre proposto il Critical Raw Materials Act, che mira a diminuire la dipendenza dalle importazioni di materie prime strategiche, diversificando le catene di approvvigionamento e puntando sulla circolarità dei materiali. Secondo una ricerca di Cassa Depositi e Prestiti, entro il 2040 l’Europa può infatti arrivare a coprire oltre la metà della domanda interna di litio e di cobalto, attivata dalla mobilità elettrica, tramite il riciclo delle batterie esauste.
Il prossimo anno si terranno le elezioni del Parlamento europeo. Sarà un momento decisivo. L’auspicio è che il nuovo assetto istituzionale che ne emergerà avrà la volontà e i mezzi per mettere in campo una forte e coraggiosa politica industriale green, in grado di fare davvero dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, preservando e potenziando al contempo la competitività delle sue imprese e il benessere dei suoi cittadini.
Questo articolo è stato pubblicato su QualEnergia – luglio/agosto 2023.