Nel 2017 il nostro Pianeta ha lanciato una serie di allarmanti segnali di disequilibrio che non lasciano ben presagire per l’anno in corso e per quelli a venire, nonostante i progressi – in verità ancora troppo lenti – nella transizione energetica e nella lotta al cambiamento climatico.
Emissioni di CO2
Le emissioni di anidride carbonica derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili sono salite del 2% nel 2017 dopo tre anni di stallo, trainate da un aumento delle emissioni di Cina e India. Il livello di CO2 nell’atmosfera, tra i maggiori determinanti dell’effetto serra, ha superato la soglia delle 400 ppm e si aggira oggi intorno alle 405 ppm. Inoltre, in base ai rilevamenti della World Metereological Association, il 2017 è stato l’anno con le temperature medie più alte tra quelli non influenzati dal fenomeno climatico noto come El Niño.
Aumento delle temperature
Uno studio pubblicato su Nature ha stimato che, in uno scenario di business-as-usual (ovvero in assenza di nuove misure di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), è molto probabile che nel 2100 la temperatura media globale aumenterà di 5 °C, il 15% in più di quanto precedentemente calcolato dai modelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’ONU. Questo significa che gli sforzi di decarbonizzazione dovranno essere intensificati per tener fede agli impegni presi dalle nazioni riunite a Parigi nel dicembre del 2015 durante la COP21.
Eventi metereologici estremi
Il 2017 sarà ricordato a lungo negli Stati Uniti per essere stato l’anno record per i costi conseguenti a eventi naturali estremi: l’uragano Harvey e altri 15 disastri climatici e metereologici hanno infatti causato circa 300 miliardi di dollari di danni, 100 miliardi in più rispetto al 2005, anno tristemente famoso per gli uragani Katrina, Irma e Maria. Anche l’Italia detiene un triste primato in questo ambito: è il paese europeo che ha subito i danni maggiori causati da eventi climatici estremi, avendo perso nel periodo 1980-2015 risorse per quasi 65 miliardi di euro.
Se la relazione tra cambiamento climatico e uragani è difficile da dimostrare, l’aumento del livello e della temperatura degli oceani sono di fatto due effetti del riscaldamento globale, e si tratta di parametri che influiscono sull’intensità e sulla durata di questi fenomeni in maniera inequivocabile. Inoltre, secondo una recente analisi condotta da Carbon Brief su 140 studi che hanno approfondito il rapporto tra eventi estremi e cambiamento climatico, il 63% dei fenomeni studiati è risultato più violento o più probabile proprio a causa del riscaldamento globale indotto dall’attività antropica.
Ghiaccio artico in ritirata
L’Arctic Report Card pubblicata dal NOAA nel dicembre scorso ha evidenziato un ulteriore tragico sviluppo che ha caratterizzato l’anno passato: il Polo Nord, dopo che in marzo i ghiacci marini hanno raggiunto la massima estensione invernale più bassa mai registrata, sembra essersi stabilizzato su una nuova “normalità” contraddistinta dal progressivo scioglimento dei ghiacci, mentre gli scienziati pensano che difficilmente la rotta possa essere invertita.
La ritirata dei ghiacci innesca molteplici effetti secondari, tra i quali il più evidente è l’innalzamento del livello dei mari, che generano una serie di reazioni a catena che si auto-alimentano e che contribuiscono ad accelerare il riscaldamento globale. Tra queste le più preoccupanti sono la variazione dell’effetto albedo, ovvero la diminuzione della reflettività della superficie artica determinata dalla neve che si scioglie e che lascia il posto all’acqua dell’oceano, che assorbe la luce invece di rifletterla, e il disgelo del permafrost, che causa l’emissione di grandi quantitativi di gas metano, un gas il cui effetto serra è circa venti volte maggiore rispetto a quello della CO2.
Leggi l’articolo di James Temple su Technology Review.