L’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata definisce le materie plastiche come “materiali polimerici che possono contenere altre sostanze finalizzate a migliorarne le proprietà o ridurre i costi”. Queste parole ben descrivono la rivoluzione di cui la plastica è stata protagonista: la produzione massiva di oggetti complessi a costi contenuti, il progresso delle condizioni igieniche, l’allungamento dei tempi di conservazione degli alimenti e il miglioramento qualitativo e quantitativo in ogni attività umana.
Questo benessere ha un aspetto troppo a lungo ignorato. Il suo esempio più macroscopico è il Pacific Trash Vortex, la grande isola di scarti plastici che galleggia nell’Oceano Pacifico; quello più impercettibile sono le microplastiche, presenti ovunque, dai ghiacciai artici alla flora intestinale umana.
Un mondo senza plastica è però impossibile da immaginare. Per rendere più sostenibile il ciclo vita di questo materiale occorre intervenire sulla gestione dei rifiuti, migliorando i sistemi di raccolta e diffondendo una corretta cultura ambientale: se in Europa la plastica è sempre più riutilizzata, con un tasso medio di riciclo del 35%, lo stesso non si può dire dell’Asia che è la principale responsabile della plastica negli oceani (90%). Il compito della ricerca è di migliorare le tecnologie di recupero, riciclo e di individuare nuove vie per la produzione di polimeri plastici, concentrandosi sulle opportunità della biochimica e della biologia.
Le tecnologie di separazione e differenziazione garantiscono con un’accuratezza sempre maggiore la divisione dei materiali plastici complessi (polimeri) nelle proprie componenti costitutive (monomeri). Questa riconversione dovrà avvenire in maniera sempre più sostenibile, sia da un punto di vista economico sia ambientale, con l’obiettivo di poter generare, con le materie prime seconde, nuovi oggetti plastici in un’ottica di economia circolare.
Nei casi in cui questa “rigenerazione” non è ancora possibile, come per i poliaccoppiati e le termoplastiche, la valorizzazione energetica rimane ancora la migliore strategia percorribile. Questi Combustibili Solidi Secondari possono sostituirsi all’utilizzo dei combustibili fossili, assicurando una destinazione d’uso a materiali che altrimenti andrebbero stoccati, con il rischio di dispersione nell’ambiente.
Negli ultimi anni la capacità produttiva di polimeri di origine biologica si è incrementata. Molecole come l’acido lattico, monomero del biopolimero polilattato, sono prodotte dalla canna da zucchero e dal mais, innescando un dibattito sull’uso dei terreni per fini non alimentari. Obiettivo della ricerca è lo sviluppo di microrganismi in grado di accumulare acido lattico grazie alla fotosintesi garantendo una produzione sostenibile della molecola utilizzando non più prodotti agricoli, ma la CO2 atmosferica come principale e, se possibile, unica fonte di carbonio.
I poliidrossialcanoati, famiglia di polimeri termoplastici di sintesi biologica, sono generati dal metabolismo microbiologico. La loro produzione in reattori biologici, controllati e alimentati con CO2 e idrogeno rinnovabile, garantirà una maggior sostenibilità nella produzione di un polimero che oggi ha origine fossile. La sua biodegradabilità, inoltre, permetterà all’ambiente un recupero di materia chiudendo così il cerchio.
Il benessere raggiunto dalla società nel corso del XX secolo vorremmo tutti che fosse un punto di non ritorno: l’obiettivo del XXI deve essere quindi quello di rendere lo standard di vita raggiunto universale e sostenibile per il nostro Pianeta.
Questo articolo è stato pubblicato su QualEnergia, numero 1-2020.