Il prezzo dell’elettricità è insostenibile già oggi e la prospettiva di un taglio delle importazioni dalla Russia rischia di peggiorare il quadro: su questo sono tutti d’accordo. Ma conviene diversificare gli approvvigionamenti o diversificare le fonti? Trovare altri fornitori di gas o far crescere le rinnovabili? Gran parte delle attività del governo è mirata, soprattutto nel breve periodo, alla diversificazione degli approvvigionamenti. Elettricità Futura, l’associazione di Confindustria che rappresenta il 70% del mercato elettrico italiano, ha un punto di vista diverso.
“E’ profondamente ingiusto che famiglie e imprese italiane continuino a impoverirsi pagando l’elettricità 246 euro a megawattora, il prezzo all’ingrosso dell’aprile scorso, quando le rinnovabili offrono elettricità a un prezzo che è molto meno della metà rispetto al gas”, osserva Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura. “Inoltre, smettere di comprare il gas dalla Russia per aumentare le importazioni dall’Algeria e negoziare con Paesi come il Mali, il Congo o l’Angola mi auguro possa essere un’alternativa valida. Certamente valida come alternativa è fare molte più rinnovabili e noi avremmo immaginato che la priorità venisse data a questa soluzione”.
Che le rinnovabili siano convenienti non solo dal punto di vista ambientale ma anche da quello economico è un dato di fatto certificato dai rapporti dell’Agenzia internazionale dell’energia e dall’andamento dei mercati: da anni a livello globale gli investimenti in nuovi impianti per la produzione elettrica basati sulle rinnovabili superano di gran lunga gli investimenti in nuovi impianti basati sulle fonti fossili.
Il problema, in Italia, sono i tempi. I rifornimenti di gas da Paesi diversi dalla Russia possono essere aumentati (anche se in maniera non sufficiente a compensare il gas russo) in tempi brevi. Mentre gli impianti per le rinnovabili procedono a ritmi lentissimi, circa 8 volte inferiori a quelli necessari a raggiungere gli obiettivi a cui ci siamo impegnati in sede europea. Perché?
“Perché il nostro sistema autorizzativo è talmente frammentato da risultare paralizzante”, continua Re Rebaudengo. “Sono stati nominati commissari per i rigassificatori e per i rifiuti di Roma. C’è bisogno di nominare un commissario anche per le rinnovabili, un’azione coerente con lo stato di emergenza energetica e con quanto lo stesso governo afferma definendo gli impianti rinnovabili ‘opere di pubblica utilità’”.
In realtà con gli ultimi interventi normativi, il governo ha introdotto alcune misure di semplificazione degli iter autorizzativi delle rinnovabili. Ad esempio l’estensione della Dichiarazione di inizio lavori asseverata (Dila) alle opere connesse agli interventi di modifica non sostanziale che determinano un incremento della potenza dell’impianto. La Dila è stata estesa agli impianti fotovoltaici sotto un megawatt e alle opere connesse. Inoltre la Procedura abilitativa semplificata (Pas) si applicherà agli impianti rinnovabili fino a 20 megawatt realizzati in aree industriali, commerciali, in discariche o nelle cave e alle relative opere di connessione. E agli impianti fotovoltaici fino a 10 MW da realizzare nelle aree idonee.
Secondo Elettricità Futura, però, si tratta di piccoli ritocchi che non bastano a dare l’accelerazione per installare la capacità rinnovabile necessaria perché manca uno sguardo d’assieme: si sciolgono i nodi che bloccano una casella dell’iter autorizzativo e la procedura si ferma in quella successiva.
L’elenco degli ostacoli non rimossi resta lungo. Eccone alcuni. A livello nazionale manca il nuovo Piano nazionale energia clima, atteso da un anno. A livello regionale mancano i Piani energetici con una suddivisione dell’obiettivo rinnovabili. Le soprintendenze continuano ad avere un atteggiamento, rafforzato dai vuoti normativi, rigido e contrario ai nuovi impianti.
Tre sono gli esempi citati da Elettricità Futura. Il primo è quelli dei pannelli fotovoltaici fino a 200 chilowatt da mettere sui tetti. Sono stati fatti rientrare nella manutenzione ordinaria e quindi non richiedono più permessi e autorizzazioni. Ma è stata tolta l’opportunità del cosiddetto scambio sul posto, cioè della possibilità di vendere in rete l’elettricità autoprodotta che non viene autoconsumata: un enorme spreco e un clamoroso autogol che mina la convenienza dell’investimento.
Il secondo esempio è quello del biometano. Anche in questo caso sono stati semplificati alcuni aspetti collegati ai sottoprodotti utilizzabili negli impianti, ma non si è intervenuti sull’intera filiera. Il risultato è che ci sono già 50 impianti di biometano bloccati. E così i quasi due miliardi di euro previsti dal Pnrr per i Comuni che avviano progetti di biometano in partnership con le imprese private rischiano di essere inutilizzabili. E’ una partita che, da sola, vale un terzo delle importazioni di gas dalla Russia.
Il terzo esempio è il tema delle aree cosiddette idonee, quelle su cui è possibile installare i nuovi impianti rinnovabili usufruendo anche di semplificazioni burocratiche. Anche in questo caso c’è una buona notizia che viene subito contraddetta. Il governo ha ampliato le aree idonee. Ma le Regioni continuano a rinviare le autorizzazioni e le soprintendenze a opporsi. La richiesta delle imprese è rovesciare la prospettiva creando un elenco delle aree non idonee, in modo da poter pianificare gli investimenti nei luoghi in cui c’è certezza di realizzare gli impianti in tempi prevedibili.
Questo pacchetto di proposte in altri Paesi è già realtà. La Germania prevede di aggiungere 20 gigawatt all’anno di nuovi impianti rinnovabili nei prossimi 3 anni, per poi raddoppiare passando a installare 40 GW all’anno. Una velocità analoga da quella suggerita per i prossimi 3 anni da Elettricità Futura che propone di attivare 85 miliardi di investimenti privati e creare 80.000 nuovi posti di lavoro: si realizzerebbero 60 gigawatt che permetterebbero di tagliare un terzo delle importazioni complessive di gas. Sommando questo intervento a quelli sul biometano e a quelli sull’efficienza nel giro di pochi anni si potrebbe fare a meno di tutta l’energia importata dalla Russia.
Questo articolo, a firma di Antonio Cianciullo, è stato pubblicato sull’Huffington Post il 9 maggio 2022.